Le tre orecchie alle pagine di Sara Mostaccio
Di Radici, parole, piante e Sardegna.
Holden Caulfield diceva: “Mi fanno impazzire i libri che quando hai finito di leggerli vorresti che l’autore fosse il tuo migliore amico, per telefonargli ogni volta che ti va.”
Iniziava così la prima puntata di Orecchie alle pagine, quella in cui Davide Longo mi ha mandato le sue orecchie (molto particolari, se vi va potete leggerle qua sotto).
Poi ho chiesto a Sara Mostaccio (sono sicura che la conosciate già tutt3, ma vi lascio comunque i link alle sue newsletter Io viaggio in poltrona e Kalò Dromo) se avesse voglia di mandarmi le sue. La formula è sempre la stessa: chi vuole può mandarmi le orecchie e aggiungere quello che preferisce per spiegarle, raccontarle, commentarle, oppure non spiegare proprio un bel niente e divertirsi (me lo auguro!) a scoprire quello che le orecchie hanno mosso nella mia testa. Sara ha deciso di scoprire come girasse il mio cervello, quindi non mi rimane altro da fare che presentarvele!
Le tre orecchie alle pagine di Sara Mostaccio
“Siamo come alberi sradicati”: quello delle radici è un tema che rincorro da una vita, la sensazione di non appartenere al luogo in cui sono nata mi ha portato ad approfondirlo fin dai tempi del liceo, fino a farne una tesina da presentare all’esame di maturità, che si intitolava proprio La ricerca delle radici: paese, terra, popolo. La vicenda del popolo armeno è ovviamente più grande e importante rispetto alla sensazione di mancata appartenenza che ho sperimentato io, ma leggere quelle righe sottolineate mi ha riportato proprio a quegli anni in cui non vedevo l’ora di andarmene dal paesino per cercare la vita altrove, possibilmente in una grande città.
Ho iniziato a pensare a quali autori, artisti, filosofi e periodi storici avessi inserito nella mia tesina: la memoria mi ha aiutato con un autore che studiavo in lingua tedesca, Elias Canetti, e che ho immediatamente collegato alla seconda pagina che Sara mi ha mandato:
Oltre ad essere innamorata di questo libro illustrato, sono innamorata pure di questa riga e mezzo: le parole possono essere la nostra casa, è bello vestirci e riscaldarci con parole esatte. Ho trovato un approfondimento su Elias Canetti e il suo libro La lingua salvata (quello che ho citato nella mia tesina di maturità) su maremosso.lafeltrinelli.it, a cura di Fabio Stassi:
Lui è nato in Bulgaria, ma la lingua dell’infanzia era lo spagnolo; i nonni erano turchi perché venivano da Istanbul ma la famiglia era ebraica, quindi l’ebraico era la lingua dei riti. Poi sente un taglialegna armeno che canta una canzone dei profughi, quindi l’armeno diventa la lingua dei profughi. Poi a Manchester muore il padre, leggendo il giornale, e l’inglese diventa per lui la lingua della morte. Scriverà in tedesco perché suo padre e sua madre si erano innamorati a Vienna e il tedesco era per loro la lingua dell’amore.
Ecco, questo mi pare uno splendido esempio di come le parole e la scrittura possano essere casa. Di come l’amore possa diventare casa. Di come le parole e l’amore ci tengano radicati a terra, anche in mezzo alle tempeste.
La terza pagina mi ha riportata dritta dritta a qualcosa che ho letto di Stefano Mancuso, botanico e saggista che insegna all’Università di Firenze. Mancuso dice che noi spesso consideriamo le piante come esseri inanimati e privi di qualsiasi forma di intelligenza, ma la realtà è ben diversa: le piante hanno una grande sensibilità agli stimoli esterni, sono dotate di “capacità sociali” ma soprattutto hanno un sistema radicale estremamente intelligente. Le radici riescono a sondare il terreno intorno a loro (attraverso meccanismi che richiamano da vicino il funzionamento del cervello animale) e scegliere il luogo migliore per ancorare la pianta; il titolo di uno dei suoi libri più famosi è La nazione delle piante: la grande patria del mondo intero sono proprio loro, le piante.
Mettersi in viaggio, scorrere. Tornare. Finisce così l’ultima pagina che Sara mi ha mandato: avere radici, forse, vuole semplicemente dire avere un posto in cui tornare (o una persona che ci aspetta con le braccia aperte!). Allora ho pensato di concludere con una pagina di Sergio Atzeni ne I sogni della città bianca (consiglio di Alice Fadda - grazie Alice, questo libro è ipnotico!)
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Una mia orecchia che proviene da una terra che amo, che vorrei tanto diventasse casa mia e di cui ho provato a scrivere, ospitata da Sara in una puntata di Io viaggio in poltrona (è proprio lei, la Sardegna)
Trovo che le orecchie alle pagine siano qualcosa di molto intimo, a volte. Aprono scenari diversi sulle persone, anche su quelle che pensiamo di conoscere alla perfezione. Per questo ringrazio Sara per averle condivise con me, perchè è come rivelare un piccolo segreto a un’amica!
Che rubrica geniale 🩷😎
Cara Alessia, sono davvero molto commossa perché la frase “un uomo che vive fuori dalla sua terra é come un cavallo senza testa” ha accompagnato i primi anni dell’università. Sono felice di aver condiviso con te, e con chi ti legge, Atzeni, scrittore del cuore. E ringrazio Sara per aver condiviso la pagina de Il grande formichiere perché mi ha fatto venire voglia di farci un disegno