Mia madre aveva una Fiat Cinquecento gialla. Lei era alta, bella e forte quando usciva da quella macchina piccola piccola. Ogni volta che la guidava pareva avesse affrontato una tempesta in mare. Ce l'aveva fatta. Era arrivata tutta d'un pezzo e ci aveva condotte in salvo.
Mio padre aveva un'Alfetta blu. Nell'Alfetta di papà si poteva arrivare alla quinta. Nella Cinquecento gialla ce n'erano solo quattro, di marce. A volte papà scherzava e diceva a mamma che era piccola, gialla e aveva una marcia in meno. Mamma, non la macchina. (Enrica Ferrara, Mia madre aveva una cinquecento gialla)
Il viaggio continua.
Io e Serena siamo ancora bambine, lo sguardo rivolto verso i nostri genitori, sono gli anni Ottanta. Siamo a bordo di una Panda bianca, l’auto della mamma di Serena: la Panda è stata una seconda rivoluzione italiana nel campo delle autovetture. Passata alla storia perché solida, affidabile, praticamente indistruttibile, adatta alla città ma anche al fuoristrada, a uomini e donne. Sì, avete letto bene: a uomini e donne. Perché per anni abbiamo parlato (o forse ne parliamo ancora?) di auto giuste per l’una o l’altra categoria. Quando pensiamo all’uomo, immaginiamo un veicolo potente, performante, imponente: un’estensione del ruolo dell’uomo (o meglio, del maschio alfa) nella società. Le auto più adatte alle donne sembrano invece essere tutte di piccole dimensioni, adatte per brevi tragitti, con motori poco potenti. La Panda è stata il giusto compromesso: ha messo insieme tutte queste caratteristiche, è diventata un’auto per tutti.
Saliamo con Serena sulla Panda bianca della mamma: allacciate le cinture, partiamo per una nuova tappa del nostro cammino.
Mia nonna ha dato alla luce una figlia femmina (mia madre) e due figli maschi. I miei zii, per quanto ne sappia, non hanno mai riscontrato problemi con la guida; mia madre, invece, ha una storia differente. La sua macchina era una Panda con una dolce personalità, che ancora oggi, nella mia personale geometria delle cose, rimane l’automobile simbolo di una città senza tempo.
Prima di addentrarci ancora tra le mie memorie, prendiamoci un momento da dedicare alla visione di uno spot del 1989.
Il primo frammento ci mostra una giovane donna in jeans, pettinata come la moda del tempo suggeriva, a bordo della sua Panda bianca, fa marcia indietro e ovviamente becca in pieno un lampione, guarda l’uomo seduto accanto a lei e si copre la bocca con fare ingenuo. Nel secondo frammento, un’elegante donna di mezza età chiude la portiera dell’auto aiutandosi con il sedere, le mani sono occupate dai sacchetti della spesa, la donna si guarda intorno come a voler ottenere l’approvazione di un occhio invisibile. Nel terzo frammento, una ragazza entra in auto e sorride all’ipotetico fidanzato che la accoglie con una torta di compleanno. Nell’ultimo frammento, un ragazzo e una ragazza parcheggiano fieramente la loro Panda di fronte al Teatro dell’Opera e corrono verso l’entrata mentre una signora raffinata li scruta. A questo punto, ascoltiamo la voce maschile, calda, autorevole e finalmente compiaciuta che invade lo spazio dello schermo: Panda, se non ci fosse bisognerebbe inventarla.
Da un breve spot, ecco che fuoriesce l’atmosfera con cui ogni donna alla guida deve fare i conti. Luoghi comuni, battute, pubblicità, manifesti, barzellette: il racconto delle donne alla guida è sempre condito di inadeguatezza e infantilizzazione. Dobbiamo guardare altrove, per scorgere protagoniste al volante diverse da quelle degli spot della Panda, dobbiamo guardare alla Metro-Goldwyn-Mayer per meravigliarci di fronte ad un’immagine potente: Thelma e Louise (eroine dell’omonimo film del 1991) alla guida della Ford Thunderbird, verso la libertà.
Ecco il divario emotivo che ha accompagnato la rappresentazione di un’ipotetica me al volante: una Panda agile che si muove in percorsi prestabiliti sotto sguardi paternalistici e una T-bird frizzante verde acqua che conduce ad una vita libera ma pericolosa. Nessuna via di mezzo, non c’è spazio per la misura nei miei sogni di bambina.
Quando penso a mia madre e alla sua Panda bianca, ricordo di essermi sentita sempre al sicuro in macchina con lei. Eppure un giorno non si è più seduta al posto di guida, così come si smette di indossare un abito o come si interrompe l’abbonamento ad una rivista. Quel momento, lo intercetto nella memoria come uno strappo netto, da allora la Panda bianca è diventata un ventre vuoto per la mia famiglia. C’è una parte di me che ancora guarda le mani di mia madre stringere il volante, mi sento separata da tutto, i rumori mi arrivano ovattati, i dossi sono piccole onde innocue, il calore che provo, quel senso irripetibile di tranquillità, mi dondola riportandomi nel grembo materno, allontanandomi dai compiti, dal Tg delle otto, dalle voci dei vicini e dalle parole delle signorine buonasera. Una parte di me resta lì con lei sperando che il viaggio duri il più a lungo possibile.
Vita da istruttrice, 2013 - 2024
Servono poche cose per imparare a guidare bene: esercizio, tempo e pazienza. Soprattutto esercizio. Nient’altro. Come quando impariamo qualsiasi altra cosa pratica. Facciamo insieme un esercizio di memoria e proviamo a ricordare i momenti della nostra vita in cui abbiamo imparato cose pratiche: inizio io. Ho imparato a nuotare facendo le bolle dal naso e dalla bocca nella piscina dei piccoli, quella dove l’acqua ti arriva alla vita. Ho imparato a cucinare (ecco, forse non ho mai imparato del tutto, diciamo che riesco a sopravvivere con pochi semplici piatti) provando a cuocere la pasta in bianco, poi innumerevoli torte mai lievitate, prima di un risultato appena sufficiente. E quando ho iniziato a guidare? Presto, molto presto: proprio alla fine degli anni ottanta, quando mio padre mi prendeva in braccio e mi faceva usare il volante fino a casa della nonna, a meno di un chilometro di distanza, mentre mamma lo sgridava perché le sembrava piuttosto pericoloso. Non riuscivo a tenere la macchina in strada, ma ero comunque felice perché stavo facendo una cosa da grandi, una cosa che vedevo fare sempre a papà e mamma. Qualcosa che, a casa mia, era normale (e necessario, per spostarsi dal paesino in collina di dieci case e andare a lavorare in pianura) che uomini e donne facessero.
Funziona così per tutte le cose della vita. Non esiste predisposizione genetica. Ripetiamolo, un milione di volte: non è vero che gli uomini hanno la guida nel DNA. Iniziano prima a provare, provano di più, e non hanno nessuno che dice loro, sempre e comunque, che non sono capaci, che farebbero meglio a lasciar perdere, che non è una cosa di loro competenza.
Se alle donne viene detto che le loro capacità di guida dipendono dalla biologia la loro fiducia al volante non può che risentirne. Seguendo la teoria che in psicologia si chiama dello “Stereotype threat”, traducibile come “minaccia indotta dallo stereotipo”, gli individui vittime di stereotipi tendono a sottoperformare. La paura del fallimento, le aspettative ridotte, l’ansia da prestazione, la preoccupazione di (non) confermare lo stereotipo negativo sul gruppo di appartenenza sono i fattori scatenanti di basse performance.
(fonte: articolo di Eugenia Nicolosi su alfemminile.com)
Quello in cui siamo immerse tutti i giorni l’ho ritrovato in un video andato virale su YouTube una decina d’anni fa, che più o meno tutti abbiamo visto: donne che parcheggiano, donne ai caselli autostradali, donne che non ne combinano una giusta: fa ridere? Non lo so, decidete voi. Quello che di sicuro non fa ridere sono i commenti. Ne ho selezionati alcuni:
il fatto è che potete scrivere quello che volete ma in GENERALE le donne sono un disastro al volante e lo penso non per pregiudizio ma perché varie volte per colpa di donne ho rischiato incidenti
il vecchio detto si rivela sempre esatto!
Impagabile... E pensare che hanno lo sconto sull'assicurazione!
Video FAVOLOSO, con tutto il rispetto del caso ma al 99% dei casi le donne non capiscono un c…o di motori
non posso dire altro che altri uomini non hanno già detto.....sono scandalosamente inappropriate alla guida..
alle donne io toglierei la patente… a tutte quante
Sulla base di uno studio del 2015, i ricercatori hanno scoperto che le donne che hanno ascoltato qualcuno fare battute come “donna al volante, pericolo costante” commettevano più errori e guidavano peggio rispetto a quelle che non sono circondate da amici sessisti. (fonte: articolo di Eugenia Nicolosi su alfemminile.com)
Vedo tutti i giorni ragazzi e ragazze che guidano per la prima volta: gli stessi errori, le stesse domande, lo stesso livello di partenza. La differenza la fanno la pratica, gli esempi che hanno intorno, la fiducia nelle loro capacità.
La fiducia che i miei genitori hanno avuto nelle mie capacità e in quelle di mia sorella è stata talmente alta che tutte e due siamo diventate istruttrici. Forse mio padre si è pentito, visto che lo sgrido in continuazione mentre guida. I nostri viaggi insieme suonano più o meno così:
“Attento, davanti stanno frenando!”
“Sì, Alessia… ho visto!”
Segue discussione di cinque minuti sulla distanza di sicurezza.
“Non mettere la freccia a sinistra prima di entrare in rotonda se devi proseguire dritto!”
“Sei sicura? ma gli altri non capiscono..”
“Sì papà, sono sicura!”
Altra discussione di cinque minuti sulla freccia a sinistra.
“Frena!”
“Guarda che io non sono uno dei tuoi allievi, so guidare!”
Gli prendo il volante mentre arriviamo in rotatoria, glielo sposto a destra perché sta passando troppo vicino al camioncino fermo in corsia di sinistra (giuro che è successo davvero, il mio movimento ormai automatico dopo tanti anni di guide - intervenire sul volante è una cosa che facciamo sempre, durante le esercitazioni- , la faccia sconvolta di mio padre, per qualche secondo)
“Gli stavi andando addosso!”
“Alessia, guarda che ci stavo! E poi ti ho insegnato io a guidare…”
Per non parlare di tutte le volte che l’auto si rompe (cosa che succede spesso alle auto delle autoscuole, perché sono parecchio maltrattate): l’ultima volta, un paio di settimane fa, eravamo insieme a parlare di valvole, catene di trasmissione, olio denso o meno denso. Il segreto, forse, è tutto lì: avere intorno qualcuno che non ti parla come se non potessi capire, ma che cerca di spiegartele, perché - spoiler- anche le donne possono capire la meccanica, come si parcheggia, come si guida un’auto.
“Ci si aspettava che tu fossi meno di quello che eri. E ci si aspettava che ne fossi contenta”.
ALZA IL VOLUME
Una piccola playlist per viaggiare con la mente - o nella realtà - , per cantare, per sentire il vento tra i capelli sulla Thunderbird (un brano tratto dalla colonna sonora di Thelma e Louise non poteva mancare), per piangere, per rilassarsi. Ce n’è per tutti i gusti, tutte le annate e tutti i generi musicali: la trovate qui.
Noi ci rileggiamo fra due settimane: grazie per l’accoglienza che ci avete riservato nella prima puntata e per le storie che avete deciso di raccontarci. Io e Serena vi aspettiamo sempre sui nostri profili Instagram (@alessiamunari e @seru_blasi) oppure nei messaggi diretti di Substack (il grande bottone qua sotto)
E chissà che questo viaggio non continui proprio con le vostre storie… noi non vediamo l’ora di leggerle!
Che bello questo viaggio in macchina a bordo di due prospettive. Il racconto di Serena mi ha ricordato i viaggi in macchina con il mio papà: finestrini abbassati, Pino Daniele, il mare all’orizzonte. I ricordi più belli che custodisco di lui 💫
Quei lunghissimi viaggi in macchina dell'infanzia ❤️ che fossero lunghi davvero o corti per arrivare dalla nonna, a me sembravano infiniti e volevo che continuassero per sempre, restare in quella dimensione del viaggio perenne, senza destinazione che la interrompesse.
Quando d'estate si partiva in auto mamma e papà si davano il cambio alla guida e papà diceva sempre che mamma guidava meglio di lui. Lui meccanico e per un po' anche pilota di formula 3 non l'hai mai sminuita alla guida e oggi mi sembra importante