Il titolo di questa puntata di Donne e patente arriva dal racconto di Valentina Merzi, illustratrice che vive a Venezia e ha appena inaugurato uno studio che mi piacerebbe tanto visitare: uno studio che è anche un luogo di formazione e uno spazio accogliente per artisti. Andate a sbirciare la pagina Instagram @studioforeste, oppure leggete da dove nasce nella sua newsletter, Telline.
Sono senza auto da più di due mesi. O meglio, un’auto ce l’ho, ma non è la mia. Per ovvie ragioni lavorative, tendo a considerarla come la mia seconda casa (in effetti passo più ore sul sedile di destra che sul divano), e tendo pure a volerle bene. A fine febbraio è successo che una bella mattina la mia auto si è spenta a uno Stop (per lo meno ha scelto il punto giusto, mi sembra che sia pure intelligente!) e non è più ripartita. Un guasto grave, un difetto di fabbricazione. Risultato: i pezzi di ricambio non arrivano e la mia auto è ferma in officina da quel giorno. Grazie al cielo un’autoscuola amica me ne ha prestata una: sono riuscita a continuare a lavorare, ma non mi sembra carino usare quell’auto per scopi diversi. Addio ai weekend al mare, ai viaggi lunghi. Ecco, è un po’ come se fossi a piedi nei giorni liberi, quando capita spesso che l’unica voglia che ho sia quella di cambiare aria, cambiare paesaggio per respirare e staccare la spina.
Mi sento un po’ a metà, come se mi mancasse un pezzo. In effetti mi manca: è una qualche forma di libertà a cui sono abituata da più di vent’anni, qualcosa che è così tanto parte di me da farmi passare intere domeniche col broncio se non c’è, triste e malinconica perché non posso muovermi: sembra quasi una storia d’amore, ma è solo la storia di una cretina (che sarei io) che ha addirittura pensato di non volerne più sapere dell’auto durante i fine settimana, fino a quel 26 febbraio.
Questa grande indipendenza, la possibilità di andare senza dover chiedere niente a nessuno, il poter avere una via di fuga ma anche una compagna di avventure sono quello che amo dell’auto, e che vorrei trasmettere ai miei allievi.
Ho ritrovato tutti questi sentimenti nel racconto che Valentina Merzi ha deciso di regalare a me e Serena Blasi dopo aver letto la prima uscita di Donne e Patente, insieme a un’illustrazione che apre un mondo.
Eccoli qui, il racconto e l’illustrazione di Valentina:
Valpantena, Verona, anni ’80
La machineta
Io ho preso la patente abbastanza tardi, non ho inseguito il mio diciottesimo compleanno per iscrivermi a scuola guida come quasi tutti i miei amici. Avevo un motorino blu notte che mi traghettava fedele dal mio quartiere alla scuola in centro, mi piaceva sentire l’aria fresca in faccia e la sensazione di libertà che mi dava mi è parsa a lungo sufficiente. Dopo la maturità mi sono trasferita a studiare in una città d’acqua, dove quella conquista mi sembrava ancora più superflua e rimandabile e così ho affrontato crocette e guide solo una volta rientrata a Verona, più per sottrarmi alla dipendenza dai passaggi altrui che per una mia smania.
Poi ho amato molto guidare, ho fatto lunghi viaggi in macchina che sono ancora tra i miei ricordi più belli, ho scoperto di essere brava in una di quelle attività pratiche che avevo sempre considerato distanti da me, mi ha stupito il non averne paura.
La guida mi fa pensare all’indipendenza anche oggi che, tornata stabilmente in laguna, non fa più parte della mia quotidianità, ma soprattutto mi fa pensare a mia nonna.
Mia nonna Maria era una delle tante donne che sono state chiamate per tutta la vita con un nome che non era il loro, il suo in realtà era Gemma e compariva solo sulle bollette e in cima ai voluminosi plichi delle analisi del sangue. Mia nonna non ha mai preso la patente, ma negli anni ’70 cavalcava già un motorino basso e aerodinamico, e negli anni ’80 era passata ad una di quelle macchinine a tre ruote, rossa fiammante, che allora si poteva guidare senza patemi burocratici.
Con quella macchinetta squadrata, una scatolina di latta apparentemente più adatta a un personaggio disegnato da Richard Scarry che a una signora di mezza età, sfrecciava per le curve che separavano la minuscola frazione di campagna in cui abitava dai primi paesi degni di questo nome dove faceva la spesa, esplorava il mercato e andava a trovare (troppo spesso) il medico e il farmacista.
Mio nonno non ha mai avuto la patente, né, che io sappia, guidato la macchinetta rossa. Una volta tornato dalla guerra, dopo che la prigionia in un’isola greca si era allungata oltre la fine del conflitto, non si è mai più voluto muovere dal suo orto. Ogni volta che io, mio padre e mio zio annunciavamo la meta delle nostre vacanze lui commentava, un po’ sospettoso: “Ma perché invece non venite qui in campagna, che si sta bene ed è tranquillo?”.
Era lei quella che si spostava. Lei che andava, da sola, in villeggiatura al lago di Garda e a fare i viaggi con la parrocchia a Lourdes, a Fatima, portandomi in dono madonnine di plastica ripiene di acqua santa e bambole del viso attonito, vestite da ballerine di flamenco.
La macchinetta è stata messa a riposo forzato verso la fine degli anni ‘90, dopo che una défaillance su una delle ultime curve verso casa aveva fatto rotolare lei e la sua guidatrice in un campo di ulivi.
Credo sia giusto ricordarla come una compagna fedele degli slanci vitali di mia nonna, lei che più di tutto amava ripetermi “basta che no i te comanda nisuni!”*
*L’importante è che non ti comandi nessuno.
Mentre leggevo il racconto di Valentina, e immaginavo sua nonna sfrecciare sulla sua macchinetta, ho rivisto la felicità di mia nonna (che non ha mai guidato) il giorno in cui ho preso la patente: si è messa a piangere mentre rideva (come sempre, quando succedeva qualcosa di bello), felice che sua nipote avesse quelle possibilità che lei non ha mai avuto. Un ricordo dolcissimo, quello di queste nonne così diverse, che avevano però lo stesso bisogno di indipendenza e di libertà.
C’è in cantiere un’altra uscita di Donne e patente, che riguarderà l’esperienza di una donna che ammiro tanto, un viaggio in vespa e la patente della moto. Spero di riuscire a incontrarla prestissimo, e a raccontarvi la sua storia.
Nel frattempo, se vi va, raccontatemi anche la vostra esperienza. Ci rileggiamo presto!
E nulla… sto in lacrime mentre bevo il caffè di metà mattina!
Se volevate farmi piangere, ci siete riuscite ❤️ viva viva le nonne e la libertà